Paolo corse lungo la scalinata,
raggiunse la porta della soffitta, l’aprì e si chiuse al suo interno.
Appoggiato con la schiena
all’uscio, respirò lentamente. Strizzò gli occhi e ricacciò indietro il groppo
che gli stringeva la gola. «Non piangerò» si disse. «Ho quindici anni, non sono
più un bambino.»
I muri spessi, di cui erano
ancora visibili alcune mattonelle, attutivano in parte le urla dei suoi
genitori e degli zii che litigavano al piano di sotto. Ormai era diventata
un’abitudine a ogni incontro tra parenti e il fatto che si fossero riuniti per
festeggiare il Natale, non faceva alcuna differenza.
I dolci canditi e le luci
appese un po’ dovunque nella villetta non erano bastati a trasmettere alla
famiglia Ranieri lo spirito natalizio. Gli addobbi servivano a camuffare
l’esterno, per dare una facciata di normalità a chiunque li osservasse di
passaggio.
Paolo si scostò
dall’ingresso, riusciva ancora a sentire le loro grida ovattate, si strinse nel
maglione di cachemire azzurro, ma tremò comunque per il freddo che avvolgeva la
stanza. Tastò la parete alla sua sinistra e spinse l’interruttore, illuminando
elettricamente l’ambiente.
Le quattro pareti che la
formavano non erano molto alte e il contatto immediato con il tetto rendeva più
difficile al riscaldamento del piano inferiore di diffondersi. Avevano acceso
anche il camino, ma in quella casa non c’era modo di immettere calore. Di
nessun genere.
Il ragazzo avanzò nella
soffitta, cercando qualcosa che lo distraesse. Appoggiate ai lati nord ed est,
due vecchie librerie di legno di noce – che resisteva ancora nonostante gli
anni e l’umidità – contenevano diversi generi di reliquie. Disposti a poca distanza
l’uno dell’altro, i tre scaffali accoglievano i libri di quando Paolo e i suoi
cugini Daniela e Antonio erano bambini. Accanto erano impilati i quaderni delle
scuole elementari e medie: uno per ogni materia e tutti del primo e ultimo anno
frequentato. Sua madre e sua zia avevano deciso di conservarli, considerandoli
dei simpatici cimeli da mostrare ai futuri nipoti. E poi giochi e videocassette
di cartoni animati erano accatastati alla rinfusa insieme a un mangianastri
quasi inutilizzabile e poche musicassette di fiabe sonore.
Paolo tornò con la mente
agli anni in cui era bambino, durante quel periodo l’attesa dell’arrivo delle
feste di Natale lo rendeva felice tanto quanto il giorno stesso. Seguiva tutte
le tradizioni: a partire dall’aprire ogni mattina la casellina del calendario
dell’Avvento, con il relativo cioccolatino da assaporare, fino allo scartare il
primo regalo, posto sotto l’albero addobbato insieme ai genitori, dopo lo
scoccare della mezzanotte della Vigilia. Con il passare del tempo però, aveva
smesso di eseguirle e solo in quel momento si domandò cosa gli avesse fatto
perdere quell’entusiasmo e quella gioia nel praticarle.
“Sono cresciuto”
pensò Paolo. La sentiva come una giustificazione debole, ma era vero.
Crescendo, ai suoi occhi, il mondo aveva perso quella magia che sembrava
avvolgerlo in quei giorni dell’anno e strappato il velo, rimaneva solo la
verità con cui non si poteva scendere a patti.
Il litigio al piano
inferiore non accennava a smettere e questo avvalorò ulteriormente la
convinzione di Paolo che il Natale non possedesse più la vecchia magia.
Abbandonò le librerie e si voltò verso il lungo tavolo rettangolare alle sue
spalle. Lo
usavano per le
cene di famiglia, quando i commensali superavano i sette abituali. Molte delle
persone che erano state solite sedersi attorno erano morte o si erano
allontanate e così le cene erano diminuite, rendendo insopportabili quelle
poche che venivano organizzate più per dovere che per piacere.
A testimonianza dell’uso
ridotto e di conseguenza della poca cura, Paolo notò che i piedi del mobile
avevano sfamato i tarli e piccoli forellini li attraversavano dal basso verso
l’alto. Inoltre,
la sua già
precaria stabilità, era messa a dura prova da un esercito di scatoloni che ne
riempivano la superficie.
Facendo scricchiolare le
assi di legno del pavimento, Paolo si avvicinò e rabbrividendo, cercò al loro
interno un indumento per coprirsi. Frugando, scoprì l’esistenza di oggetti che
non aveva mai visto nell’abitazione: un vecchio candelabro arrugginito a sei
braccia, piatti e bicchieri scheggiati e non appartenenti a un vero e proprio
servizio, addirittura un vecchio album delle figurine dei calciatori datato
1983.
In fondo al secondo
scatolone trovò una coperta di lana marrone in perfetto stato, l’afferrò e se
l’avvolse intorno alle spalle. Camminò verso il centro dello stanzone, si
sedette sul divano e sprofondò nei cuscini per colpa delle molle consumate. Lo
osservò e si accorse che il suo
rosso brillante aveva assunto un tono più spento, ma non c’erano altri segni di
vecchiaia: l’apparenza tradiva gli anni che aveva trascorso in quella casa.
Distese le gambe e i suoi piedi
si adagiarono sul largo tappeto che arrivava quasi fino alla parete che gli
stava di fronte, dominata dall’ampia finestra. Era stato filato con cotoni che
richiamavano le varie gradazioni di verde e nel lato destro era impressa una
deforme macchia di panna, caduta in quello stesso giorno, pochi anni prima, da
una fetta di panettone in mano a suo zio.
Sorridendo, Paolo avvertì anche
la morsa della nostalgia serrargli la gola. Ci aveva fatto l’abitudine, ma ogni
volta che accadeva, la consapevolezza che i ricordi facevano male diventava
sempre più dolorosa. Mise in paragone il passato con il presente e gli sembrò
che fossero passati secoli da quei giorni in cui era stato tanto spensierato.
Le ore trascorse a ridere e chiacchierare durante il pranzo di Natale non
sarebbero più tornate, anzi a ogni festeggiamento erano diminuite fino a
sparire. E infatti in famiglia era come trovarsi in mezzo a degli estranei.
Accettarlo gli fece mancare il fiato, quasi qualcuno gli premesse con violenza
la testa sott’acqua.
Facendo scorrere lo sguardo
in giro per l’ambiente per scacciare quei pensieri, Paolo vide che l’estremità
del tappeto opposta a quella in cui si trovava era fermata da un pesante baule
di metallo, rifinito in bronzo lungo gli angoli della base. Lo riconobbe: si
trattava dello scrigno dei tesori che aveva diviso con Antonio e Daniela.
Si alzò dal divano e gli si
inginocchiò davanti, poi armeggiò con il lucchetto allentato, fino a far scattare la serratura. Lo spalancò e
notò con sollievo che al suo interno c’era tutto quello che avevano rinchiuso.
Il coniglio di pezza di Daniela con il braccio destro scucito, il trenino elettrico con cui lui e Antonio
avevano passato interi pomeriggi, il collare di Bri, il cucciolo dei vicini con
cui tutti e tre avevano giocato. In fondo, sulla base della scatola, piegato
ordinatamente trovò il suo asciugamano bordeaux.
Affondando le mani nel
tessuto, il ricordo legato all’oggetto riaffiorò nella sua mente. Aveva sette
anni e dopo aver visto il suo primo film sui super-eroi, se lo legava intorno
al collo, con indosso una tuta blu, giocando a fare “Superman”.
Anche se avevano due e tre
anni più di lui, Daniela e Antonio lo assecondavano sempre, assicurandosi che
non si facesse del male, mentre ribadiva di stare salvando il mondo.
Con rammarico, Paolo
constatò che essere in quella stanza vuota era l’ennesima riprova del
cambiamento negativo delle loro vite. Stava cercando rifugio dalla piega che
aveva preso la giornata e Daniela e Antonio non erano al suo fianco. Entrambi
avevano abbandonato la casa prima ancora di arrivare al dolce, con la
motivazione di vedere una ragazza o degli amici e lo avevano lasciato lì. Solo.
Le voci concitate che ancora
risuonavano dal piano sottostante si scontrarono violentemente con la memoria
dei tempi passati e Paolo si coprì le orecchie, facendo cadere a terra
l’asciugamano e lasciando scivolare dalle spalle la coperta.
«Basta... basta...» sussurrò
e senza più la forza di ingoiarle, lasciò scendere le lacrime sulle sue guance.
Singhiozzò debolmente per pochi istanti e poi si fermò. Abbassò le braccia e si
passò il dorso della mano destra sul volto per asciugarlo.
Alzò lo sguardo e vide il
paesaggio al di là della finestra. Il cielo era blu e i fiocchi di neve lo
imperlavano cadendo scomposti.
Da solo non poteva fermare
quella lite di cui non ricordava nemmeno l’origine, ma non era nemmeno più
costretto ad ascoltarla. Di certo nessuno degli adulti di sotto si sarebbe
zittito, ma poteva sentirsi nuovamente libero.
Paolo raccolse
l’asciugamano, lo strinse con un nodo sotto il collo, in modo che scendesse
fino a metà schiena e si diresse verso l’ampia finestra. Fece scorrere il vetro
e sentì il vento gelido schiaffeggiargli il volto.
Illuminato dalle luci
gialle, rosse e verdi fissate sul bordo, salì sul davanzale.
Ripetendo lo stesso gesto
che avrebbe voluto fare da bambino, aprì le braccia verso l’esterno e si
lanciò nel vuoto.
La neve lo accompagnò nel
suo volo silenzioso.
Nessun commento:
Posta un commento