giovedì 23 luglio 2015

Adolescenza sulla Bocca dell'Inferno - Puntata 4


4. Indossa il Dolore Come un'Arma (2° parte)



La pausa pranzo era il momento preferito della giornata di Michelle.

Reggendo il vassoio in coda per farsi servire un‘abbondante dose di crocchette di patate, la ragazza guardò languidamente il piatto di spaghetti al sugo di pomodoro pronta a gustarsi tra poco.
L’addetta alla mensa le consegnò la seconda pietanza, Michelle posizionò il piatto tra le posate e la lattina di Pepsi stesa e avanzò alla ricerca di un tavolo vuoto nell’ampio salone.
Ne trovò uno libero nella fascia centrale, la evitava sempre perché era più esposta ai commenti e alle occhiate degli altri, ma quella mattina era troppo affamata per mettersi alla ricerca di un altro posto.
Posò il vassoio sulla superficie smaltata e trascinò indietro la sedia un po’ stretta per la sua mole. Si sedette infischiandosene se parte della sua corporatura robusta ricadeva sui lati del fisico, dando l’impressione che la maglietta e i pantaloni stessero per scoppiare.
«Buon appetito» si disse sorridente. Infilò la forchetta nel groviglio di spaghetti, arrotolò e se ne ficcò in bocca una manciata. Non appena le sue papille gustative entrarono in contatto con la pasta ricoperta di salsa al pomodoro, provò un senso di appagamento.
Michelle masticò e inghiottì il boccone e le tornò in mente la parola compensazione. Era così che il medico del gruppo di sostegno per disturbi alimentari aveva spiegato la sensazione provata ogni volta che il cibo le dava sollievo. Ma lei non era d’accordo. Sì, forse qualche volta eccedeva nelle porzioni dei pasti e negli spuntini fuori orario, ma non era una di quelle che si ingozzava e andava a vomitare. Il suo non era un vero problema con il cibo.
Attorcigliò altri spaghetti intorno alle punte della forchetta e mentre se li portava alla bocca, vide le due spine nel suo largo fianco sistemarsi in coda per prendere solo dell’insalata e verdure bollite. Alice e Caroline. Bruna e bionda. Entrambe magre come un manico di scopa e immensamente stronze.
«È per colpa di quelle come loro se non posso mangiare in pace.» Michelle strappò la linguetta alla lattina di Pepsi e trangugiò la bibita fresca e frizzante.
Sua madre l’aveva costretta a iscriversi in ospedale al gruppo di sostegno perché voleva fosse come quelle due stronzette: senza carne e senz’anima. E suo padre non aveva opposto resistenza, ma tanto non lo faceva mai. Preferiva trascorrere le giornate al lavoro o fuori casa piuttosto di stare un po’ con lei e domandarle cosa non andava.
Probabilmente lo psicologo del gruppo non ha tutti i torti” pensò Michelle. “Sostituisco l’affetto con il cibo, ma vorrei vederlo al mio posto, con due genitori che ti guardano schifati solo perché sei un po’ in sovrappeso.” Bevve un altro sorso. Era obbligata a frequentare quegli incontri, ma non a pensarla come loro. Non si sarebbe lasciata rovinare il pranzo da quei pensieri.
Quando staccò le labbra dal metallo, Alice e Caroline erano ferme a guardarsi intorno alla ricerca di un posto a sedere. E sfortunatamente notarono il suo tavolo. Le osservò camminare come modelle a una sfilata, dirette verso di lei.
«Guarda chi c’è… Michelin» le disse Caroline, sporgendosi in avanti con i boccoli biondi che le ricadevano sulle spalle e storpiando apposta il suo nome perché suonasse come quello dell’azienda di pneumatici che aveva per mascotte l’omino grasso.
«Non pensi che questo tavolo sia un po’ troppo grande anche per te» continuò Alice e scoppiò a ridere, buttando indietro la testa, senza scompigliare i capelli neri folti e corti.
Caroline rise a sua volta. «Muoviti, alza il culone e smamma.»
«No» rispose Michelle, posando la lattina e stringendo la forchetta con la mano destra.
Nel salone c’erano altri posti liberi, ma quelle due volevano il suo perché altrimenti avrebbero dovuto sedersi accanto a ragazzi che normalmente non frequentavano. Aveva sempre evitato di litigare per non avere problemi con sua madre, ma non questa volta, non se ne sarebbe andata.
Alice la fissò minacciosa. «Cosa hai detto?»
«Ti ho detto di no, spaventapasseri» replicò Michelle. «Se vuoi questo posto, dovrai tirarmi via a forza.»
Le due rimasero interdette. Era la prima ragazza, o ragazzo, a non eseguire un loro ordine. Continuarono a fissarla con disprezzo e Michelle sostenne lo sguardo con i suoi occhi nocciola. Era ora che le “api regine” si abituassero a venir osteggiate da chi consideravano una dei loro sottoposti.
«Lasciamo perdere» disse Caroline.
«Già, questo tavolo ha già preso il suo cattivo odore» fece Alice.
Le due le girarono intorno e Michelle cercò di reprimere un sorriso. Ci era riuscita, aveva tenuto testa alle sue persecutrici e vinto.
Caroline era quasi alle sue spalle e aggiunse: «Ingozzati con quelle crocchette, Miss Piggy
Prima che Michelle potesse accorgersene, la ragazza fece scivolare il piede davanti alla gamba posteriore destra della sedia, con un cenno del capo indicò all’amica di fare lo stesso con la sinistra e poi diedero un colpo secco, spostandole la sedia da sotto il sedere.
Michelle si ritrovò con la faccia nel piatto di avanzi di spaghetti e per non cadere rovinosamente per terra, si aggrappò al tavolo, scuotendolo con una forza tale che il piatto di crocchette sgusciò fuori dal vassoio e si riversò sul pavimento con un rumore sordo.
Sollevando il volto udì lo scoppio di risate dei pochi ragazzi rimasti nella mensa. Schizzi di sugo le colavano dai capelli corti e ramati, rendendo il suo colore naturale più scuro. Prese un tovagliolo e si pulì e sentendo le risate continuare, lo premette contro il viso per nascondersi.
Cercando di trattenere le urla di rabbia, Michelle constatò di avere avuto torto. Ancora una volta avevano vinto loro due. Si morse il labbro per cacciare il dolore interiore che provava. Facevano tutti a gara per rendere la sua vita un inferno. Caroline. Alice. Sua madre. Suo padre. Ognuno di loro scovava sempre modi nuovi per ferirla e per quanto non volesse darlo a vedere, sentì tutta la pena che le procuravano eruttare come la lava in un vulcano.
Quel dolore che senti, non lasciare che ti logori. Usalo come un’arma.
Michelle scostò il tovagliolo. Non sapeva da dove provenisse quella voce, ma riecheggiò nella sua testa coprendo le risa. Si alzò in piedi, provando sicurezza, forza e un’inspiegabile sensazione di potere avvolgerla.
Udì un lieve ronzio come da calo dell’elettricità e vide il suo volto riflesso nel vetro protettivo dei contenitori con i cibi. I suoi capelli non avevano più traccia di sugo ed erano neri, così come i suoi occhi. Vene strette e scure si propagavano sulle sue guance e sulla fronte. Era il volto della vendetta.
«Ehi, stronze» urlò voltandosi di scatto. Fissò lo sguardo allarmato e confuso di Caroline e Alice, non più così spavalde nel vedersela di fronte. «Volevate il tavolo? È tutto vostro.»
Michelle sollevò entrambe le braccia, il tavolo si staccò da terra e volò contro gli esili corpi delle due ragazze e mentre il suo vassoio con i resti del pranzo si sparpagliava in aria insieme ai loro, le due finirono schiacciate alla parete sotto il peso del mobile. 
Le risate cessarono di colpo. Ci fu qualche urlo e poi i ragazzi presenti corsero fuori dalla mensa.
Michelle camminò verso il tavolo, continuando a spingerlo per imprigionare le due ragazze, tenendo semplicemente il braccio disteso e il palmo aperto. «È il mio turno di farmi quattro risate.»
«Che razza di mostro sei?» domandò Caroline, più con disprezzo che con paura.
«Non farci del male» supplicò Alice, intimorita.
Michelle inclinò lievemente la testa a sinistra. «Vi siete sempre sentite intoccabili per via del vostro aspetto. Siete convinte che un bel corpo snello, senza un chilo di troppo, vi dia il diritto di dire o fare qualunque cosa.»    
«No, noi…» provò a rispondere Caroline.
«Ti prego non farci del male» ripeté Alice.
«Come voi ne avete sempre fatto a me?» Michelle le studiò compiaciuta. Sui loro volti perfetti colavano piccole gocce di sudore. La temevano e ne avevano motivo. «Mi sono sempre chiesta se sotto quei pochi strati di pelle avete un cuore. Ora posso scoprirlo.»
Michelle tirò indietro il braccio e il tavolo lo seguì, sbattendo contro uno vicino e anche se le aveva liberate di quell’ingombro, non lasciò che le due potessero andarsene. Con la stessa mano usata per scagliarlo lontano, le tenne immobili e sospese a una decina di centimetri dal pavimento.  
«Cosa vuoi fare?» domandò Caroline con voce tremante.
Michelle sorrise. «Vi sbuccerò come le banane secche e acerbe che siete. Un pezzo di carne alla volta.»
«No!» gridò Alice terrorizzata. «Ti prego! Ti prego, non farlo!»
«È tardi per pregare.» Michelle piegò semplicemente l’indice e il medio di entrambe le mani e sul collo delle due ragazze comparvero i primi tagli.
«Fermati» le intimò una voce sicura.
Michelle la riconobbe, era la stessa che le aveva dato forza poco prima, guardò verso l’ingresso del salone. Tre ragazzi e una ragazza erano appena entrati e la fissavano. Quello che aveva parlato aveva una maglietta con la scritta rosso sangue The Real Vampires Bite!; quello accanto a lui era simile a lei con occhi e capelli neri e strisce di vene scure sul volto; gli ultimi due sembravano dei tipi ordinari.
«Perché?» domandò Michelle.
«Perché per quanto tu abbia ragione, quello che stai facendo è sbagliato» disse il ragazzo con la maglietta sui vampiri.
«Chi sei?» chiese in tono duro.
«Sono Billy l’ammazzavampiri» rispose. «E se andrai avanti, dovrò intervenire.»
«Forse non è il caso di provocarla» suggerì il ragazzo ordinario.
«Ci penso io» disse quello che le somigliava.
Avanzò tranquillo verso di lei e scrutandolo, Michelle ricordò di averlo già visto per i corridoi a scuola. «Sei Zec, il ragazzo gay.»
«Già e tu invece sei…»
«Michelle.»
«Ciao Michelle, so cosa stai provando e il mio aspetto te lo conferma» disse Zec sorridendo. «Loro sono… bè amici è una parola un po’ grossa, ma mi hanno aiutato quindi chiamiamoli così. Sono Donovan e Betty. Siamo qui per aiutarti.»
«Lasciatemi in pace. Ho un conto in sospeso da sistemare» replicò Michelle.
«Lo so bene. Poco fa stavo per fare qualcosa di simile» continuò Zec. «In questo momento sto lottando con l’impulso di tornare indietro e terminare quello che avevo iniziato. So che vuoi punirle, ma a quale prezzo?»
Michelle lo guardò confusa. «Di che diavolo parli?»
«Dopo esserti vendicata, cosa ti rimarrà?» le domandò. «Io me lo sono chiesto e ho capito che dover convivere con le conseguenze delle mie azioni, non vale la soddisfazione fugace che proverò.»
Lo guardò con rabbia. «Cosa vuoi saperne tu? Cosa credete di saperne tutti voi?»
Tre tavoli si sollevarono da terra e galleggiarono a mezz’aria per pochi istanti prima di partire in direzione dei ragazzi. 
«Zec, bloccali!» urlò Billy.
Il ragazzo alzò le braccia e chiudendo le mani a pugno, fece scendere sul pavimento i tavoli prima che ferissero qualcuno.
Billy si fece avanti. «So tutto del dolore che provi, non è diverso da quello di Zec, io l’ho liberato perché fosse la sua arma per difendersi. Derivava dai soprusi subiti, dal sentirsi oppresso e chiaramente dovevi sentirti così anche tu, altrimenti non avrebbe avuto effetto.»
«Se sei tu il responsabile, perché ora vuoi fermarmi?»
«Percepisco anche la cattiveria e il male» spiegò Billy. «Quelle due ragazze ne hanno da vendere e le hanno usate contro di te, vuoi essere come loro? Sei a un bivio, puoi usare il dolore come un’arma per difenderti, o come il mezzo per portare altro dolore.» 
«Fa differenza?» chiese con disprezzo Michelle. «Se non sfogo il mio dolore su di loro a cosa mi serve poter essere come la versione oscura di Willow?»
«È una questione di potere» rispose Billy. «Credevi lo avessero solo loro, ma hai la prova che sei potente anche tu. Ora viene la parte difficile: devi scegliere come usarlo.»
Michelle tornò a guardare i volti terrorizzati di Caroline e Alice. Vederle inermi le dava un senso di appagamento quasi quanto il cibo. Ma odiava cosa rappresentavano e non voleva essere paragonata a loro, per nessuna ragione. «Ok» disse semplicemente. Schioccò le dita e ordinò alle due: «Andatevene! Fuori dai piedi!»
Libere di muoversi, Alice e Caroline corsero attraverso l’uscita della sala mensa, scansando a malapena gli altri ragazzi.
«Ottima scelta» disse Billy.
«E adesso come torniamo normali?» domandò Michelle, osservando Zec.
«Se sono streghe come Willow, non ci vorrà una strega più esperta per aiutarli?» chiese Betty.
«Non sono streghe» disse Billy. «Non c’è magia in loro.»
Donovan aggrottò la fronte. «E come spieghi quello che hanno fatto.»
«Come ho già detto, hanno sfruttato l’energia scaturita dal loro dolore, dandole una nuova forma,  creando un effetto in stile poltergeist» spiegò Billy. «In parole povere hanno usato la telecinesi.»
«È tutto molto interessante» intervenne Zec. «Ma non hai ancora risposto.»
«Lo hai detto tu prima, quando eravamo in aula multimediale» disse Billy. «Dovete solo scaricare questa energia.»
«Cosa dovremmo fare di preciso?» chiese Michelle.
«Magari far saltare in aria di nuovo i tavoli» propose Donovan.
Betty lo guardò scuotendo la testa. «Oppure rimettendo in ordine, così nessuno si accorgerà di questo casino e farà domande.»
«Sì, la sua idea è migliore» concordò Billy.
Zec si avvicinò a Michelle. «Pronta?»
Lei annuì. Alzò le braccia insieme a lui e concentrandosi sui tavoli sparsi alla rinfusa, li spostarono senza toccarli, posizionandoli uno al fianco dell’altro, come erano prima che dessero sfoggio delle loro capacità e ridando alla sala mensa il suo aspetto abituale.
Donovan e Betty restarono a osservarli ammirati e nel riflesso del vetro del bancone delle pietanze, Michelle notò come lentamente sia lei che Zec ritornarono al loro aspetto normale.
Alcune sedie erano ancora capovolte per terra quando Zec disse: «Credo di essere del tutto scarico a questo punto.»
«Anche io» si rese conto Michelle, non provando più la sensazione di potenza di pochi istanti prima.
«Faremo nella vecchia maniera» disse Betty rimettendo in piedi una sedia poco distante da lei. «Intanto Billy può rispondere a qualche domanda mentre ci aiuta.»
«Non credo» disse Donovan indicando alle sue spalle
Michelle si girò e constatò che Billy era sparito senza se ne accorgessero. 

 

                                                  Continua…?



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