lunedì 12 dicembre 2016

Racconto: Addio - Autori per il Giappone


Come saprete se seguite il blog dalla sua nascita, nel marzo del 2011 partecipai all’iniziativa di Autori per il Giappone, un sito in cui autori e illustratori donavano delle loro opere per incoraggiare i visitatori a donare a loro volta la cifra che più ritenevano giusta per la causa benefica a favore del Giappone, rimasto vittima in quel periodo di un terremoto e maremoto.  
Purtroppo tragedie simili si sono ripetute anche da noi e in tempi più recenti, ma non è per questo che sto scrivendo il post. In realtà è un motivo puramente personale: ho scoperto in questi giorni che il sito di Autori per il Giappone non risulta più online. Dato che sono comunque affezionato al racconto che donai per l’occasione, nato senza troppe elucubrazioni solo dal mio amore per quella terra che mi ha regalato tanti ricordi, ho deciso di riproporlo per la prima volta qui sul blog.
In questo modo chi lo ha già letto e non lo ricorda potrà rileggerlo e chi magari era incuriosito e non ha avuto modo di rintracciarlo a suo tempo, potrà soddisfare la curiosità.
Premessa finita, buona lettura:

Addio


Stanco, Edo si preparò per andare a letto. Era stato agitato tutto il giorno. Tutta colpa di un sogno, uno strano delirio onirico di cui gli erano rimasti solo degli strascichi.
Gli incubi dell’Apocalisse sono tornati” si ripeté sfilandosi la maglietta e indossando quella più comoda del pigiama. Quei sogni misteriosi, che mostravano squarci di futuri orribili, lo avevano ossessionato da quando aveva undici anni. Infestavano il suo sonno quasi ogni notte e poi, dopo che aveva compiuto quattordici anni, erano scomparsi. Come un incantesimo spezzato.
Passando davanti alla scrivania prima di coricarsi, Edo scorse la foto di classe della terza media. L’aveva tirata fuori dai vecchi diari appena rientrato a casa da scuola. Non sapeva spiegarsi perché dopo tanti anni aveva avuto il bisogno di riprenderla in mano. 
«Sei tornata nei miei pensieri» disse sfiorando il volto di una ragazza che era accanto a lui nella foto e si stringeva al suo braccio sinistro. Si chiama Nadeshiko. Erano inseparabili alle medie. Lei lo chiamava Edo-chan e lui si sentiva felice. Per tanti anni aveva creduto che fosse stata proprio Nadeshiko a curarlo dai suoi incubi: quando era dovuta partire al termine della scuola media per il Giappone, i suoi sogni erano spariti con lei.
«Buona notte amica mia» le disse andando verso il letto. «Anche se per te è ancora pomeriggio.»
Edo si coricò, tirò le coperte e spense la luce della lampada sul comodino. Pronto a farsi inghiottire dall’oscurità.

Edo è confuso. Intorno a lui c’è l’inferno. Vede persone in lacrime, terrorizzate e tutte sono di nazionalità giapponese. Cosa ancora più assurda, capisce quello che stanno dicendo alla perfezione. Parlano di un terremoto e di morti.
La gente è tutta riversata nelle strade, gli passano accanto senza notarlo. Eppure è in pigiama, possibile che non ci faccia caso nessuno?
Le fiamme divampano ovunque e la luce che emanano illumina la sagoma di una ragazza che avanza tranquilla verso di lui.
Non ci vuole molto a Edo per riconoscerla. È Nadeshiko. Indossa la divisa scolastica giapponese, quella sailor-fuku su cui fantasticava quando guardavano insieme gli anime in televisione.
Si avvicina lentamente, sembra trasportata dal vento. I lunghi capelli neri e setosi le ricadono in parte sul petto.
«Edo-chan» gli dice con un timido sorriso. «È bello rivederti.»
«Nadeshiko, dove siamo?»
«A Kesennuma.»
«In Giappone?» domanda Edo incredulo. «Come è possibile? Non ricordo di aver preso l’aereo.»
Anche Nadeshiko è sorpresa, ma non cancella il sorriso dalle labbra. «Già, dimenticavo che non hai mai saputo chi eri. Questo è un sogno. Sei come me, un yumemi
«Un sognatore.» Edo ricordò di aver letto quel termine in diversi manga. Si riferisce a persone con il potere di viaggiare nei sogni e vedere attraverso di essi porzioni del futuro. «Avevo ragione. Sei stata tu a far cessare i miei incubi.» 
Nadeshiko si ferma davanti a lui e con il dorso della mano destra gli sfiora la guancia. «Quando mi raccontasti dei tuoi incubi, viaggiai nei tuoi sogni e unendo le forze chiudemmo le porte sul reame onirico oscuro. Come conseguenza il tuo potere venne bloccato.»
«Ma ora sono qui. E tutto questo... può essere scongiurato?»
Nadeshiko scuote la testa. «È troppo tardi. Sta già accadendo. Ti ho contattato per salutarti.» Gli butta le braccia al collo e avvicinando le labbra al suo orecchio sussurra: «Sto morendo. Addio, amico mio.»
Edo stringe l’amica a sé e sul suo viso si fanno strada lacrime calde. «Ci deve essere qualcosa che posso fare.»
«Di’ ai miei genitori che non ho sofferto.» Nadeshiko si attacca a lui come se fosse la sua ancora per non affondare nell’oblio. Il suo corpo però perde ben presto consistenza.
In mezzo alle urla e al fragore della distruzione, una luce bianca accecante avvolge tutto e tutti.

Edo si risvegliò, mettendosi a sedere nel centro del letto.
Nel buio della camera solo i numeri della sveglia elettronica gli lanciarono un fioco bagliore. Erano le 6:58.
Edo cominciò a piangere. Sapeva che purtroppo era tutto vero. Tra un singhiozzo e l’altro, in un sussurro disse: «Addio Nadeshiko.»