Morgana strinse il cuscino sulle
orecchie. I suoi genitori stavano litigando. Era la quinta volta solo quel
giorno ed era ormai diventata parte della loro quotidianità.
Non ricordava con precisione quando
avevano iniziato a essere così in collera l’uno con l’altra, forse due o tre
settimane prima, ma non ne capiva il motivo.
Staccò controvoglia la federa dall’orecchio
sinistro e i capelli lisci e neri le solleticarono il collo. La voce di sua
madre rimbombò dal piano di sotto e quella del padre seguì subito, per gridare
la risposta all’accusa appena ricevuta.
Morgana rinunciò all’idea di ignorarli.
Lanciò il cuscino sul pavimento, scivolò verso il bordo del letto, si alzò e si
avvicinò alla porta della sua stanza. Aprì una fessura, tanto le bastava per
sentire senza sforzo la litigata.
– Sei un
bugiardo! Ecco cosa sei, un maledetto e infido bugiardo!
– Non puoi accusarmi di questo
Stephanie! – replicò l’uomo. – Una bugia
è un’informazione che hai omesso volutamente, non qualcosa che nessuno ti ha
mai chiesto.
– Non fare l’avvocato con me, Anthony –
urlò lei. – Non siamo in tribunale e non devi esibirti in una delle tue arringhe
finali.
– Ah no? Allora perché mi hai messo sul
banco degli imputati?
– Lo sai il perché. Sai benissimo che la
ragione è… – Stephanie fece una pausa. – E non me lo hai mai detto!
Morgana si domandò a cosa si riferisse
sua madre. Aveva notato che al momento di dire apertamente la ragione delle accuse,
entrambi si fermavano e non la gridavano come il resto. Forse volevano evitare
che lo scoprisse, ma cosa poteva esserci di tanto sconvolgente? Un’amante? Una
frode allo studio legale in cui suo padre era socio e che lo aveva spinto ad
aprire un conto segreto alle isole Cayman?
– Tu. Non. Me. Lo. Hai. Mai. Chiesto –
scandì adirato Anthony. – Mai.
– Come avrei potuto anche solo
immaginarlo?
Silenzio.
Morgana aprì di qualche altro centimetro
la porta. Suo padre non aveva replicato, sembravano arrivati a uno stallo.
Temette il silenzio più delle urla. Non capiva cosa significava e non avere il
controllo di quello che poteva accadere, le dava sui nervi.
Uscì dalla sua camera e camminò
appiccicata al muro.
– Va bene. Posso aver sbagliato. Ma cosa
vuoi che faccia ora? È Qualcosa che non posso cambiare – rispose infine suo
padre
– Voglio il divorzio.
Morgana rabbrividì a sentire quella
frase. Si paralizzò a due passi dalle scale che portavano al piano inferiore.
Un divorzio era una catastrofe. L’Apocalisse della sua vita sociale e
scolastica. Le figlie dei divorziati erano sulla bocca di tutti e non nel modo
che piaceva a lei.
– Perché? – il tono di Anthony era
neutro.
– Lo sai – rispose la donna.
– No. Non so perché vuoi mandare
all’aria quasi sedici anni di matrimonio per un… particolare, che non cambia
niente tra di noi.
– Lo cambia. Cambia tutto. Non so più
chi sei.
– Sono quello che non ti ha mai fatto
mancare niente – disse lui, di nuovo furioso. – Quello che si ammazza di
lavoro, rinunciando a hobby o altro, perché tu possa avere la tua bella casa, e
tutto ciò che ti salta in mente.
– E certo, perché la cattiva sono io,
giusto? Tu sei una vittima, il povero marito devoto, tutto casa e famiglia. Ma
chissà come l’hai ottenuta questa famiglia.
Morgana udì un rumore di fogli raccolti
e sedie spostate.
– Hai superato il limite, Stephanie –
disse Anthony con livore. – Ora vedo cosa sei tu in realtà. Una razzista. Sono io a volere il divorzio, non voglio
più dividere il mio tempo e la mia vita
con te.
Camminò con foga attraverso il salone e
uscì di casa, sbattendo la porta.
Morgana sentì sua madre andare in cucina
e rovistare tra le bottiglie, molto probabilmente in cerca del vino bianco.
Tornò nella sua stanza e chiuse la porta.
– Non finirà così – disse all’immagine
riflessa nello specchio davanti a sé. – Troverò il modo di impedire questo
divorzio. Fosse l’ultima cosa che faccio.
Morgana teneva lo sguardo basso. Seduta
davanti alla scrivania del preside, con le braccia conserte e i jeans attillati
che le fasciavano le cosce, accavallò la gamba sinistra con noncuranza.
– Sai perché ti trovi nel mio ufficio –
disse Michael Handerson.
– Veramente no, signor preside – rispose.
Michael sospirò. – Le tue assenze
frequenti. Nelle ultime settimane sono diventate troppe e lo sai bene.
– Ho avuto problemi di famiglia.
– E me ne vuoi parlare?
Morgana si morse il labbro contrariata. Il
piano non stava andando come aveva programmato. Sperava che le sue continue
assenze ingiustificate attirassero l’attenzione del preside, ma voleva che lui
convocasse i suoi genitori nel suo ufficio. Non lei. Era una tattica standard.
Una volta messi all’erta che quello era il classico modo dei ragazzi per
ottenere attenzione, avrebbero fatto marcia indietro sul divorzio. Problema
risolto.
Invece il preside voleva provare con
l’approccio dell’adulto amico.
– In realtà non dovrei essere sorpreso
dalla tua caparbietà. Tuo padre, da giovane, era uguale.
Morgana sollevò gli occhi. – Come fa a
saperlo?
– Perché lo conosco bene. Venivamo a
questo stesso liceo anche noi, diversi anni fa – spiegò Michael. – Era una
testa dura, quando prendeva una decisione non si muoveva dalla sua posizione,
neanche davanti all’evidenza di un errore.
– Altri pregi? – domandò Morgana
sarcastica.
Il preside sorrise. – Era autoritario,
tanto da incutere timore, ma anche un amico leale. Ed è un uomo speciale, con
grandi doti, che la maggior parte delle persone non possono capire.
Morgana pensò che forse none era staro
un totale fallimento. Forse poteva carpire qualche altra informazione utile. – Per
esempio?
– Credo sia un discorso che devi fare
con lui.
– Perfetto, lo chiami ora.
– Intendo in privato – ribatté Michael.
– Per quanto possa essere impegnato, sono sicuro che Anthony avrà sempre del
tempo per te.
Morgana sbuffò. La prima impressione era
quella giusta. Aveva fatto un buco nell’acqua.
Michael Handerson si alzò e andò di
fronte a lei. – Morgana Mayer, sei una ragazza intelligente e sono certo che
hai ereditato le doti speciali di tuo padre. Sono qui, se vuoi confidarti con
me, ma sappiamo tutti e due che i problemi di famiglia sono una scusa, neanche
troppo originale, per giustificare qualcos’altro che non ha niente a che fare
con la scuola.
– Se non vuole chiamare i miei genitori,
cosa intende fare? – domandò incuriosita.
– Niente. Come ho detto, sei
intelligente, sai da sola che stai danneggiando il tuo futuro, senza vantaggi.
Suppongo tu non voglia essere bocciata per una motivazione così sciocca e stare
in questa scuola un anno in più.
Morgana si alzò a sua volta. Aveva colto
nel segno, rimanere il più a lungo del necessario al liceo, non era nei suoi
piani.
– Cercherò di recuperare le lezioni che
ho perso e ridurrò le mie assenze.
– Saggia decisione. – Michael rimase a
fissarla per qualche istante. – Sicura che non c’è nient’altro di cui vuoi
parlarmi?
Morgana scosse la testa. – No, ma dato
che mi reputa tanto intelligente, cosa mi consiglierebbe di fare per risolvere
un problema che non ha soluzione?
– Dovrei avere qualche informazione in
più. Ad esempio, di che genere di problema parliamo?
– Un problema di famiglia.
Michael sorrise di nuovo, massaggiandosi
la barba. – Già, lo sospettavo. Resterai sul vago?
Morgana annuì.
– D’accordo, allora affronta la
situazione di petto. Qualunque problema si risolve, se si dimostra di essere decisi
e sicuri. A volte, la scelta migliore è un’azione drastica.
Morgana lo guardò colpita. Credeva fosse
un vecchio fallito, uno che cercasse di farsi ben volere a ogni costo, il
tipico uomo di mezza età con la sindrome di Peter Pan. Invece le aveva dato una
buona idea.
– La ringrazio – rispose. Si alzò e si
avviò alla porta. – Seguirò il suo consiglio. Un’azione drastica è quello che
ci vuole.
Continua...
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