lunedì 5 giugno 2017

Risveglio della Strega - Una storia de LA CONGREGA: Puntata 3


L’ora buca prima dell’uscita era stata un vero colpo di fortuna. Damian gongolò soddisfatto, poter saltare le lezioni era sempre un piacere, doppio se non doveva inventarsi anche delle scuse per farlo. 
Si scostò i capelli neri dalla fronte e attraversò il corridoio. Ai lati, molti ragazzi erano fermi davanti agli armadietti per prendere i libri della nuova lezione e riporre quelli della precedente. La sua attenzione fu però attirata da una ragazza con i capelli scuri a caschetto. Si avvicinava alla fontanella dell’acqua con passo lento e calmo. Tutti erano agitati di non fare tardi, lei sembrava non preoccuparsene.
Damian si fermò a fissarla. Ricordò che frequentavano insieme il corso di chimica, il suo nome era Morgana Mayer, avevano scambiato solo poche parole, ma gli sembrava un tipo interessante e il suo look dark la rendeva anche sexy. Lei scostò con la mano destra la borsa da davanti la gonna nera a frange, mentre con la sinistra tenne i capelli scuri premuti contro il collo e si piegò per bere.
Una ragazza dai capelli biondi, l’odiosa Susan Collins la riconobbe Damian, comparve all’improvviso e scostò con una gomitata Morgana. 
– Spostati Morticia – disse. Si piegò, tenendosi i capelli di lato e bevve un paio di sorsi d’acqua.
Morgana la guardò irritata, poi spostò lo sguardo sullo zampillo e sembrò fissarlo molto intensamente.
Damian si domandò perché diavolo non le rispondesse a tono: gli aveva dato l’impressione di una tipa tosta.
Lo zampillo aumentò la pressione di colpo, l’acqua sgorgò con l’impeto di una cascata e si riversò su una impreparata Susan, inzuppandole la faccia e i vestiti, capi firmati, bagnandola fino al ginocchio.
– Impara a bere, idiota – l’apostrofò l’altra. – E il mio nome è Morgana. Sono sicura che te lo ricorderai.
Damian la osservò allontanarsi e sorrise, mentre anche altri, la guardavano tra il divertito e il sorpreso. Forse sapeva del guasto alla fontanella, o forse era stato solo un colpo di fortuna, ma aveva dato una bella lezione a Susan Collins e si sentì stranamente compiaciuto.

Arrivato davanti alla porta di casa, Damian era ancora di buon umore, grazie all’episodio della fontanella. Infilò la chiave nella serratura della porta, ma dall’altra parte gli aprirono prima che potesse farla scattare. Sua madre si sporse oltre l’uscio, aperto poco più di una fessura.
– Cosa ci fai già qui? – domandò Donna Crest con apprensione.
– Avevo un’ora buca, ma… – Damian si interruppe guardandole il volto. La macchia sotto la guancia che aveva notato quella mattina prima di uscire per andare a scuola, e a cui lei gli aveva detto di non dare peso, era diventata un ematoma violaceo. La sua allegria svanì all’istante. – Quello è un livido. Cosa ti è successo? È stato di nuovo lui!
Donna uscì di casa e si fermò davanti al figlio, chiudendo la porta dietro di sé. – Shh, abbassa la voce, per favore. Non è niente. È stato un incidente.
– Sì, certo. Lo hai detto anche tre giorni fa, per il livido sul braccio.
– Damian, ti prego. Non voglio che litighiate ancora.
– Allora buttalo fuori di casa – replicò lui. – Non può trattarci così. E tu non puoi obbligarmi a stare fermo quando alza le mani. Guarda cosa mi ha fatto, solo perché ti ho difesa. – Tirò fino a metà braccio le maniche della giacca e del maglione, e le mostrò il suo livido.
– Non è colpa sua… sai, è un brutto periodo per Frank… il lavoro non va….
Damian si risistemò le maniche. – Per Frank Bane è un brutto periodo da quando è entrato nelle nostre vite. E peggiora non appena si attacca alla bottiglia. Ci tratta come se fossimo suoi servi, mangia e dorme e ci insulta per tutto quello che decide che facciamo male. La settimana scorsa era la birra finita in frigo, tre giorni fa perché la sua camicia non era ancora stata lavata, scommetto che ieri sera c’era qualcosa che non andava con la tv, o il modo in cui hai rifatto il letto, o…
– Basta! Smettila! – ordinò Donna, tenendo bassa la voce. – Frank non è un santo, ma non intendo cacciarlo. Quindi, ti prego, cerca di essere paziente. Oppure vai a fare un giro e ci vediamo più tardi.
Damian non capiva perché sua madre si ostinasse a voler avere quel bestione violento intorno e aveva rinunciato all’idea di metterle in testa che meritava di meglio. Ma le voleva bene e anche se non sembrava preoccuparsi troppo per la sua incolumità, lui non riusciva a fregarsene. – No, resto a casa. Se lui non esagera, non lo farò neanche io. Te lo prometto. – Cercò di apparire sincero mentre lo diceva, ma sapeva che a un paio d’ore da quel momento, Frank avrebbe cominciato la sua razione quotidiana di birra, whisky e alcolici vari e i problemi non sarebbero mancati.
Donna lo squadrò indecisa. Poi aprì la porta di casa, lo fece entrare e lo seguì all’interno.
– Salutalo – gli sussurrò la madre, mentre passavano davanti alla sala da pranzo.
Damian sbirciò dalla porta spalancata. Frank era stravaccato sulla poltrona, davanti al televisore accesso a tutto volume. Era un omone grosso, non sovrappeso, ma di certo con qualche chilo di troppo, come mostravano i rotoli di carne che emergevano da sotto la camicia di flanella a quadri e fuori dal bordo dei jeans slavati. Il collo taurino metteva in risalto la testa rotonda, resa ancora più simile a una palla dai capelli castani tagliati cortissimi. Ai piedi portava gli scarponi sporchi di fango rappreso, accavallati sul tavolino delle riviste.
Di malavoglia, Damian disse: – Ciao, Frank.
L’uomo agitò la mano destra in risposta, senza girare il volto o aprire bocca.
Donna lo spinse sollevata in cucina, convinta che non ci fosse più la possibilità che qualcosa andasse storto.
Finito il pranzo, Damian salì al primo piano e si chiuse in camera. Si buttò sul letto. Il suo umore continuava peggiorare: in pratica aveva sprecato un’uscita anticipata da scuola a discutere con sua madre dell’ennesimo, inutile fidanzato, che dopo averli sfruttati e in questo caso anche picchiati, se ne sarebbe andato alla prima occasione buona. Come tutti quelli che lo avevano preceduto.
Dopo mezz’ora, per non pensare a Frank, arrivò a prendere in considerazione di buttare giù qualche idea per la tesina di storia, che avrebbe dovuto presentare due giorni più avanti. Si alzò, andò alla scrivania, aprì il libro accese il portatile e impostò la pagina bianca, ma al momento di sedersi e concentrarsi, la voce del giornalista sportivo, che proveniva dal televisore al piano di sotto, gli rimbombò nelle orecchie.    
Ripensò alle parole di sua madre e represse l’istinto di urlare contro Frank. Si sedette alla scrivania, prese il testo di storia in mano, ma non servì a granché. Il frastuono del televisore lo distraeva, rileggeva tre volte di fila la stessa frase, senza riuscire a concentrarsi sul significato. Era impossibile continuare in quel modo.
Damian si alzò e aprì la porta della stanza. Le urla del cronista e del pubblico della partita di football risuonarono ancora più forti e nitide. Scese le scale e arrivò all’ingresso della sala da pranzo. Frank era nella stessa posizione in cui lo aveva lasciato, con l’aggiunta di una bottiglia di birra mezza vuota stretta nella mano destra.
Sua madre era di spalle in cucina e non si era accorta di lui. Fece un respiro per tenere a freno la rabbia e andò accanto alla poltrona.
– Ehi Frank, potresti abbassare un po’ il volume? – chiese nel modo più gentile che gli riuscì. – Sai, ho dei compiti per al scuola e non riesco a concentrarmi.
Frank si voltò, lo guardò con volto inespressivo e rispose: – No. – Poi tornò a  fissare lo schermo del televisore.
Damian mandò al diavolo le sue buone intenzioni. – Perché? Non ti ho chiesto chissà cosa. Oltretutto, questa non è neanche casa tua.
Frank scattò in piedi con una velocità tale, che il residuo di bitta rischiò di schizzare fuori dal fondo della bottiglia. – Non ti permetto di parlarmi così, stronzetto. Sono un adulto, devi portarmi rispetto.
– Anche tu devi rispettarci.
Frank avanzò verso di lui, obbligandolo a indietreggiare di un paio di passi. – Non ti devo niente, mezza checca – gli urlò contro, brandendo la bottiglia per il collo. – La gente parla, sai? E dicono tante cose su di te. Cose che mi fanno pensare che hai bisogno di qualcuno che ti dia una bella lezione di vita, ti rimetta in riga!
Damian non fece caso all’offesa, o al fatto che Frank prestasse attenzione a quello che qualcun altro dicesse. Era solo pronto a reagire, a difendersi.
Donna comparve dalla cucina, intromettendosi tra di loro. – Cosa succede?
– Il tuo bastardello mi manca di rispetto – rispose furioso Frank.
La puzza di alcool del suo alito raggiunse sia Damian che sua madre.
– Ho bisogno di silenzio per studiare – ribatté Damian.
– Sono sicura che c’è stato un malinteso – disse Donna. – Ora sistemiamo tutto…
– Non sai educare tuo figlio, questo è il problema – Frank lanciò la bottiglia contro il tavolino delle riviste e questa si ruppe a metà, riversando la birra sul tappeto. – Hai visto?! Guarda cosa mi hai fatto fare! 
– Non è niente – cercò di calmarlo Donna, rimanendo sempre tra di loro. – Adesso prendo un…
– Sei inutile! – Sbraitò Frank e le rifilò uno schiaffo sulla guancia, che la fece sbandare.
Damian non resistette più. Sorpassò sua madre e mettendosi davanti a lei per proteggerla, gridò: – Non la toccare! Sei solo un maiale, un bastardo, non ti avvicinare a mia mamma!
Frank lo colse alla sprovvista. Gli tirò un ceffone talmente forte che gli sembrò che la faccia compisse un giro su se stessa, e lo fece sbattere contro lo stipite della porta.
– Adesso ci penso io a educarti – replicò Frank.
Donna ancora scossa, riuscì però a rimettersi di nuovo di fronte all’uomo. – Frank, ti prego! È solo un ragazzo. – Si girò verso di lui e gli ordinò: – Chiedigli scusa.
Damian credé di non aver sentito bene, ancora stordito per lo schiaffo. – Cosa?
 – Chiedimi scusa – ripeté Frank con un sorrisetto. Sembrava aver cambiato idea, pareva più interessato a mortificarlo che a picchiarlo.
Damian guardò sua madre. Lei ricambiò lo sguardo supplichevole, speranzosa che accontentarlo bastasse a calmare l’ira violenta dell’uomo. Non era d’accordo, ma non voleva che le facesse ancora del male. Per quanto gli costasse, si morse il labbro inferiore e con un filo di voce disse: – Scusami, Frank.
Frank abbassò le braccia rilassato. – Non è comunque sufficiente. Questa sera salterai la cena. – Tornò a sedersi in poltrona e disse: – Donna, portami un’altra birra. Subito!
Donna non si oppose alla sua decisione e corse in cucina per ubbidire. 
Damian non si meravigliò. Con la faccia in fiamme, la spalla dolorante e l’orgoglio sotto le scarpe, si trascinò verso le scale e salì i gradini per tornare nella sua camera. Non dover condividere un pasto con quella bestia travestito da uomo, era un premio, non una punizione.

Damian era baravo a capire quando qualcosa stava per prendere una brutta piega. In quel momento, per esempio, sapeva che trovarsi nell’ufficio del preside, convocato d’urgenza dopo la lezione di educazione fisica, non era dovuto a una casualità.
Chiaramente il livido sul braccio, il nuovo sulla spalla e quello in faccia, non erano passati inosservati nello spogliatoio ai suoi compagni e nemmeno all’insegnante in palestra e al resto della classe. Così, seduto con lo zaino tra le gambe, era preparato alla domanda che stava per essergli posta dal preside appoggiato alla scrivania davanti a lui.  
– Damian, c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi? – chiese Michael Handerson.
Lui rimase muto. Non tanto per proteggere Frank, quell’uomo meritava ogni genere di punizione potessero infliggergli, sia legalmente che non, piuttosto non voleva dare problemi a sua madre. Che poi sarebbero inevitabilmente diventati problemi per loro due con Frank.
– Se qualcosa non va in casa, o qualcuno non ti fa sentire a tuo agio, puoi dirmelo –  insistette Michael. – Non sono uno stupido e neanche tu. Chiunque ti ha procurato quei lividi, deve essere fermato.
– Su questo siamo d’accordo – commentò il ragazzo.
– Allora, premettimi di aiutarti. Qualunque confidenza, rimarrà in questo ufficio.
– Non è vero – rispose Damian. – Se davvero vuole aiutarmi, quello che dirò andrà ben oltre il suo ufficio. O la scuola. Faccio una previsione? Servizi sociali? Polizia? Mi fermi se sbaglio.
Michael sospirò. – No, è tutto corretto. Come adulto ed educatore, non posso ignorare quello che ti succede. E purtroppo la strada che ipotizzi, è l’unica da poter seguire.
– Non lo faccia. Me al caverò da solo.
– Sei sicuro?
Damian aggrottò la fronte. Il preside era calmo, ma sembrava volesse insinuare altro.
– So che sei in gamba, ma reprimere rabbia, odio e sentimenti come questi, può avere conseguenze negative – gli disse. – Molto più grandi di quanto immagini.
– Non gli permetterò di superare il limite. So gestire il… problema.
Michael scosse la testa. – Non è solo questo che mi preoccupa. Mi domando se tu saprai controllarti, tu riuscirai a non superare il limite?
– Certo che sì – rispose, quasi offeso. Ma per chi lo aveva preso?  
– Ti darò fiducia. Non interverrò, per ora. Ma se dovesse succedere un altro incidente, sappi che non potrò più farmi da parte.
Damian lo guardò confuso. Non era sicuro di  capire a cosa si riferisse, ma annuì.
Michael gli lanciò un’ultima occhiata e aggiunse: – Torna pure alle tue lezioni.


                                                                      Continua...

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