lunedì 23 ottobre 2017

Darklight Children - Capitolo 52


CAPITOLO 52

Il passato non dimentica

 
Come aveva promesso a Patrick, Sara non saltò nuovamente un giorno di scuola. Una compagna l’aveva chiamata avvertendola che ci sarebbe stata la simulazione di una prova d’esame e quindi di essere presente.
Camminando in fila dietro agli altri studenti, Sara si sforzò di pensare positivo. Devo solo preoccuparmi di andare bene nella prova. È questo quello su cui devo concentrami. Niente demoni, o vite passate. Come farebbe qualsiasi adolescente all’ultimo anno delle superiori.
Mentre stava per entrare nell’edificio, venne raggiunta da Yuri.
«Ciao, tutto bene? Ieri non ti ho vista. Hai avuto qualche problema?»
«No, stai tranquillo, è tutto a posto» rispose gentilmente. «Se escludiamo che oggi ho una simulazione d’esame. Però penso che me la caverò.»
Yuri sospirò. «Anche nella mia classe oggi c’è una simulazione. Il lato positivo è che possiamo uscire prima da scuola se finiamo in anticipo.»
«Non lo ricordavo. Allora è meglio che mi sbrighi. Magari ci vediamo all’uscita.» Sara lo salutò con la mano e corse verso la scale.
Rifletté che era la prima volta che riusciva nuovamente a parlargli come ai vecchi tempi da quando si erano presi una pausa.  Yuri non si era allontanato, anche se lei lo aveva trattato con freddezza e concluse che forse era arrivato il momento di ripensare seriamente alla loro relazione.

La classe era immersa nel silenzio. I due professori che dovevano sorvegliare i ragazzi erano seduti alla cattedra e tra uno sguardo e l’latro agli studenti, scambiavano due chiacchiere tra di loro.
Sara lesse velocemente le domande del test e poi evidenziò nel testo i riferimenti che potevano esserle utili. Si sentiva tranquilla, non aveva avuto difficoltà nell’individuare le risposte e credeva di essere in grado di rispondere a tutte le domande in breve.
Dall’inizio del tempo a disposizione non staccò lo sguardo dai fogli e all’improvviso la vista le giocò un brutto scherzo. Le parole cominciarono a sovrapporsi una con l’altra e le lettere a cambiare posto tra loro.
Non devo cedere alla stanchezza si disse, chiudendo momentaneamente gli occhi. Ancora pochi minuti di concentrazione e avrò finito.
Sollevò le palpebre e trovò un volto a fissarla, all’altezza della nuca del compagno seduto davanti a lei. La faccia aveva una carnagione grigiastra e i capelli appiccicati alla testa erano della stessa tonalità. Il labbro inferiore era rotto e una crosta di sangue grigio scuro formava una virgola sul mento.
Sara scrutò intorno a sé, ma tutti avevano lo sguardo rivolto sui propri fogli. E i professori discutevano tra loro, uno di fronte all’altro. Era l’unica a vedere quel volto galleggiare nel vuoto.
«La principessa è senza parole» disse all’improvviso la testa del giovane uomo.
Sara non rispose.
«Credi di potermi ignorare?» riprese lui. «O pensi che qualcuno di loro possa sentirti?»
«Che significa?» domandò Sara, parlando a voce alta.
«Hai notato qualcuno girarsi? No. Questo perché non puoi scappare da me. Come io non ho potuto scappare da te.»
«C-chi sei?»
«È quasi divertente che tu me lo chieda» rispose, senza ridere. «Prima di finirmi, hai detto che il primo uomo che uccidi non lo scordi mai.»
Sara scosse violentemente la testa. «Non ti ho ucciso. Non ho ucciso nessuno.»
«Bugiarda! Tu, Sayka figlia bastarda di DiKann, sei un’assassina.»
«Non sono Sayka. Lo ero, ma ora sono Sara Martini.»
L’espressione dell’uomo divenne ancora più rabbiosa. «Tu sarai sempre Sayka. Chi hai ucciso non lo dimenticherà tanto facilmente, come cerchi di fare.» Dall’estremità inferiore della testa prese forma il collo e il torace, seguiti da un paio di braccia e mani, tutto dello stesso colore grigio fumo. Rapide, le mani  si avvicinarono minacciose al suo collo.
Sara cercò di allontanarle con le proprie, ma lui le schivò senza sforzo.
«Tutti i morti di cui sei responsabile sono parte di te!» urlò, mentre il resto del suo corpo compariva, posizionandolo in ginocchio sul banco, sopra ai fogli del test. Gli si lanciò contro e le strinse le dita intorno al collo, buttandola per terra.
Sara sentì il respiro mancarle e udì la sua gola emettere un rantolo, mentre gli occhi gelidi del suo assassino brillavano di gioia.

«Martini! Martini!»
La voce agitata del professore fece aprire di colpo gli occhi a Sara. Era distesa sul pavimento, accanto al suo zaino, respirava affannosamente, mentre il professore chino su di lei continuava a chiamarla.
«Stai bene?» le chiese spaventato.
«Non… non lo so» balbettò lei, rendendosi conto di avere addosso lo sguardo sgomento di tutti i compagni.
«Hai fatto degli strani versi e poi sei caduta per terra» raccontò l’uomo, aiutandola a rialzarsi.
«Voi, tornate al vostro lavoro» disse l’altro professore ai ragazzi, e uno dopo l’altro eseguirono l’ordine.
Il professore che l’aveva soccorsa, accompagnò Sara fuori dalla classe. «Cosa ti è successo?»
«Non so. Credo di aver avuto un attacco di panico» mentì lei. Non poteva e non voleva parlare dello strano uomo grigio che aveva tentato di ucciderla.
«A che punto sei con il test?»
«Mi mancano le ultime due domande.» 
Il professore la squadrò dubbioso. «Non mi sembri nello stato di continuare. È meglio che tu vada dal consulente. Se hai un problema a gestire lo stress, è meglio risolverlo prima dei veri esami.»
Senza concederle repliche, l’uomo la scortò al piano superiore davanti all’ufficio del consulente scolastico. La porta era aperta, così entrò insieme a Sara. «Scusi il disturbo, dottor De Santi, Sara Martini ha avuto un problema durante la simulazione d’esame e credo sia opportuno che ne discuta con lei.»
Kaspar De Santi alzò la testa dalle carte che stava leggendo sulla sua scrivania e annuì. «Certo. Vieni Sara, siediti pure.»
Sara si ritrovò a farlo anche se non ne era del tutto convinta. Avrebbe voluto ribattere che non era necessario portarla lì, e che il consulente non poteva fare niente per lei. La situazione però era incomprensibile, le ci voleva del tempo per capire cosa fare e come uscire da lì senza aggiudicarsi un biglietto di sola entrata per il manicomio.
«Non preoccuparti per la prova. Terremo conto di questo imprevisto. Devo andare dagli altri prima che venga invalidata la simulazione. Torna quanto ti senti pronta.» Il  professore sparì dall’ufficio in un lampo.
Sara si ritrovò a fissare il volto calmo e sereno del dottor De Santi.
«Vuoi un bicchiere d’acqua?» le domandò Kaspar, notando la sua espressione spaurita.
«Sì, grazie» rispose. Istintivamente si tastò con le dita della mano sinistra il collo, sentendo ancora sulla pelle la stretta dell’uomo in  grigio.
Kaspar si alzò e prese un bicchiere di carta sotto il distributore a forma di boccia, posto accanto all’entrata dell’ufficio. Lo spinse contro la manopola e lasciò che l’acqua lo riempisse. Lo porse poi a lei. «Raccontami con calma cosa è successo.»
Sara impiegò più tempo del necessario a mandare giù l’acqua. Non sapeva cosa inventarsi. Non capiva nemmeno lei cosa le fosse accaduto. Scostò il bicchiere di plastica dalle labbra e disse: «Penso di aver avuto un attacco di panico.»
«Ti è già successo in passato?»
«No.»
«Però hai subito identificato il tuo disturbo come un attacco di panico» sottolineò Kaspar. «Dimmi, cosa hai provato di preciso?»
Sara bevve un nuovo sorso d’acqua e  deglutì. «Stavo rispondendo alle domande della prova di simulazione. Ero tranquilla, mi mancavano solo due risposte...» fece una pausa. Decise di raccontare quello che le era capitato, omettendo qualche dettaglio. Anche perché tutti in classe l’avevano sentita mentre respirava a fatica e l’avevano vista cadere a terra, quindi era inutile negarlo. «Poi all’improvviso mi è mancato il fiato. È stato come se qualcuno cercasse di strozzarmi e senza accorgermene mi sono buttata sul pavimento. Io… credevo davvero di stare soffocando.»
«Hai avuto l’impressione di avere qualcuno addosso che ti stringeva la gola. Hai persino creduto di poter sentire le sue dita.»
Sara sgranò gli occhi sorpresa. «Si, esatto.» Non si aspettava che le descrivesse alla perfezione l’attacco che aveva subito.
«Puoi stare tranquilla. È tutto normale.»
«Davvero? Da come mi guardavano gli altri non sembrava.»
Kaspar rise debolmente. «Sei all’ultimo anno. Ci sono gli esami di maturità e poi devi decidere cosa fare del tuo futuro. Per certi ragazzi questo è uno stress più pesante di quanto non si aspettano. I momenti di crisi come il tuo non sono nulla di preoccupante. Devi cercare di rilassarti. Non devi prendere tutte le decisioni adesso. E devi parlare delle tue paure con qualcuno. Con me, o con i tuoi genitori.»
Nella mente, Sara vide il volto di Patrick. Se pensava a qualcuno a cui confidarsi, lui le sembrava il più adatto.
«Raccontare i tuoi dubbi ad altri ti può aiutare davvero» insistette il dottore.
«D’accordo, mi sento più a mio agio con un amico di famiglia» rispose.
«Va benissimo. L’importante è che non ti tieni tutto dentro. Esternare le nostre angosce, ci aiuta a superare il problema.»
«Quindi niente pillole colorate?»
«No, non sei ancora nello stato di aver bisogno di ansiolitici» disse Kaspar con un sorriso. «Però vorrei che mi tenessi aggiornato su questi episodi. Solo per sicurezza.»
Sara annuì.
«Ok. Credo che tu possa tornare in classe.»
Sara ingollò il resto dell’acqua e posò il bicchiere sulla scrivania. Si alzò e uscì dalla stanza.

Kaspar prese il bicchiere di plastica vuoto, lo accartocciò e lo gettò nel cestino accanto alla porta. La chiuse e tornò alla sua scrivania.
Aprì l’ultimo cassetto sul lato destro ed estrasse un plico di cartellette beige. Erano cinque e su ognuna in alto a destra era scritto in stampatello un nome: NAOKO MANCINI; YURI MONTI; SABRINA CORTI; DAVIDE CAPRI; SARA MARTINI;
Kaspar afferrò l’ultima e l’aprì. Sul fondo di un foglio, già pieno di suoi appunti scritti a mano, aggiunse: “Primi segni di allucinazioni sul passato. Ricordi che emergono spontaneamente? Verificare.”
Chiuse il fascicolo, si voltò sulla sinistra e controllò il calendario appeso alla parete. «Devo fare visita a Patrick Molina al più presto. Dopo due mesi, è l’ora di valutare se ha fatto progressi con il suo incarico e ha altre informazioni sui cinque soggetti.»
Kaspar ripose i cinque fascicoli nel cassetto e tornò al suo lavoro di copertura di consulente scolastico. 

 
Continua…

Nessun commento: