lunedì 22 gennaio 2018

Darklight Children - Capitolo 62


CAPITOLO 62

Fuggire dal passato

 
Non appena arrivò a casa, Sara chiuse la porta con una doppia mandata, si diresse nella sua stanza, lasciò cadere lo zaino sul pavimento e si buttò sul letto.
Non aveva voglia di pranzare.  Per farlo, doveva andare in cucina e passare davanti a quella che un tempo era stata la camera di Leonardo. Ora, in seguito all’incantesimo della memoria, era diventata lo studio del padre. Per quanto l’arredamento fosse diverso, lei continuava a ricordare la stanza con il suo vecchio aspetto e il segreto di quel dolore le toglieva la voglia di mangiare.
Sospirò e si mise a sedere sulla coperta. Anche stare lì a far nulla la innervosiva. Aprì la cerniera dello zaino e pescò al suo interno il Registro. Rimase pochi secondi a fissare il nome scritto sulla copertina: Sayka.
«Basta con i dubbi» disse. «Non posso cambiare il passato e sono stufa di averne paura. Per affrontarlo, devo conoscerlo.»
Si voltò, scostò una ciocca di capelli scuri dalla guancia, aprì il Registro sul cuscino e si distese a pancia in giù a leggere.

Registro dell’Ordine n. 00335

La Divisione Ricerca e Addestramento dei mezzo demoni riporta il ritrovo e le informazioni ricavate dopo l’identificazione del soggetto: Sayka.

Anni dal Primo al Quattordicesimo

La mezzo demone Sayka è la più pericolosa tra i mezzo demoni che la Divisione Ricerca e Addestramento ha mai rintracciato nel corso degli anni di servizio per l’Ordine.
Per via della sua discendenza paterna di origine demoniaca, le notizie sulla nascita e crescita della mezzo demone ci sono pervenute solo in tarda età, quando ormai diventata una giovane donna di quattordici anni, è entrata in contatto con un gruppo di esseri umani del villaggio di cui fa parte la madre umana, ed è stata proprio la donna la fonte da cui riportiamo tali informazioni.
La madre di Sayka ha raccontato ai membri della Divisione Ricerca e Addestramento, richiamati nel villaggio dopo l’attacco della figlia, come le aveva dato la vita.
Era poco più di una ragazzina quando apprese dell’esistenza dei demoni e sua madre e suo padre la misero in guardia sui pericoli che quegli esseri mostruosi rappresentavano. Poco tempo dopo, un gruppo di quegli  stessi mostri assaltò il villaggio, rendendola orfana. Dopo la morte dei genitori, nessuno si prese cura di lei. Crebbe da sola, con le sue forze e imparò presto che gli uomini potevano essere malvagi, violenti e senza pietà proprio come i demoni.
Iniziò a interessarsi alle arti magiche oscure, alchimia e negromanzia, provando a riportare in vita i suoi genitori, gli unici affetti che aveva mai avuto. Furono queste pratiche che attirarono le attenzioni di un demone e non uno qualunque, ma il Re DiKann in persona.
Non ha raccontato nei particolari come ci riuscì, ma DiKann la ammaliò: quando lui le domandava qualcosa, lei non riusciva a resistergli, era come sotto un incantesimo. Per di più, le promise di esaudire il suo desiderio se solo si fosse concessa a lui.
La donna accettò, rimase incinta del Re demone e fu protetta dai suoi sottoposti durante tutta la durata della gravidanza. Quando nacque una bimba, DiKann la prese con sé e la portò nel suo regno: il Primo Inferno. La donna lo pregò di lasciare la figlia con lei, o di portarla con lui affinché la crescessero insieme.  Lui in riposta le fece ritrovare i genitori nella casa in cui era nata e cresciuta, dicendole che aveva saldato il suo debito: d’ora in avanti non avrebbero più avuto nulla che li legasse e le risparmiava la vita solo perché aveva adempiuto in modo esemplare al suo compito.
Per quattordici lunghi anni, non ha più visto né il demone, né la figlia avuta da lui, fino a quando lei ricomparve nel villaggio, assetata di sangue senza niente che potesse ricordarle la creatura innocente che aveva generato.

«Non serve che continui a leggere. Posso raccontarti io quello che successe dopo.»
Sara scattò in piedi, facendo scivolare il fascicolo sul pavimento. Qualcuno aveva parlato. La stessa voce che aveva sentito in classe il giorno della simulazione della prova d’esame.
«Chi sei? Cosa vuoi?» gridò, girandosi a destra e a sinistra, cercandolo nella stanza vuota. «Fatti vedere!»
La figura evanescente dalla pelle grigia comparve sulla soglia della camera, sorridendo. «La principessa ha ritrovato il suo temperamento.» Sospeso a mezz’aria, il giovane uomo con il labbro inferiore spaccato e i capelli appiccicati al volto, si spostò come un fulmine, ritrovandosi a pochi passi da lei. «Abitavo in quel villaggio, quando arrivasti dal Primo Inferno. Fui il primo che uccidesti, te l’ho già detto.»
Sara stava per ribattere, ma qualcosa si risvegliò nei suoi ricordi. Erano immagini fugaci e confuse. Si rivide all’ingresso di un luogo circondato da un recinto di legno, a brandire un coltello che infilava con foga nel petto di  quello stesso uomo che aveva di fronte. Lui moriva davanti ai suoi occhi e lei ne era compiaciuta.
«No» sussurrò.
«Sì. Non hai bisogno di vederlo scritto. Stai ricordando che mostro eri» le rispose con sguardo furioso. «E come premio per i tuoi omicidi, ti è stata concessa una nuova vita. Ma non ti permetteremo di viverla in pace. Devi ricordare ogni istante di ciò di cui sei colpevole.»  
Sara mosse un passo verso di lui, facendosi coraggio. «Io… so che chiedere scusa è inutile. E non cerco perdono, ma…»
«Nessuno di noi vuole dartelo.»
«Voi?» domandò, accorgendosi che era la seconda volta che palava al plurale. «A chi altro ti riferisci?»
«A tutte le tue vittime» rispose una voce femminile. Un donna dai capelli lunghi che le cadevano sulle spalle, con la stessa pelle grigia dell’altro essere e un lungo vestito pieno di macchie, era apparsa dietro alla sedia della sua scrivania. «Il massacro che hai compiuto al tuo villaggio natale era solo l’inizio. Lo definisti il tuo “battesimo del sangue”. Ne seguirono altri. Per divertimento, o per ripagare torti di cui non eravamo colpevoli.»
«Non posso rimediare a quello che ha fatto Sayka» gridò con il fiato mozzato. «Non sono lei, perché volete perseguitarmi?»
«Qui la vittima non sei tu» replicò la donna.
«Siamo noi a pretendere vendetta» disse il giovane uomo. «Siamo morti senza colpa e non possiamo lasciarti impunita!»
Le due figure grigie le si avvicinarono minacciose. Sara indietreggiò terrorizzata e sentì il legno duro del suo armadio bloccarle la schiena. Non poteva fuggire e altri spettri come i due che avanzavano, potevano comparire da un momento all’altro.
«Finirò quello che ho iniziato» la minacciò il giovane uomo con un ghigno. Allungò le braccia verso il suo collo, imitato dalla donna al fianco.
«No!» urlò Sara. «Non è colpa mia!»
Desiderò con tutta se stessa di andarsene. Il vento caldo e la luce abbagliante del teletrasporto accorsero in suo aiuto, trasportandola dove si sentiva al sicuro.

Sara aprì debolmente gli occhi e si ritrovò distesa su un divano.
«Ben svegliata» la salutò Patrick Molina, sporgendosi sopra la sua testa. «Ti senti meglio?» 
«Dove sono? Cosa è successo?» chiese confusa.
«Sei comparsa nel mio salone e sei svenuta» spiegò Patrick. «Non sei ferita, ma ho l’impressione che tu fossi in fuga. Da qualcosa o da qualcuno?»
Sara si mise a sedere. «Non saprei spiegarlo bene neanche io.»
Lui prese posto accanto a lei. «Su, forza. Raccontami tutto. Sai che puoi parlare liberamente con me.»
Era vero. Sara era a suo agio con Patrick come non lo era con nessun altro da diverso tempo. Espirò profondamente. «Angelo Moser ci ha consegnato dei fascicoli che ci riguardano. Dentro è trascritta la storia delle nostre identità del passato» iniziò a raccontare. «Mentre leggevo i primi anni di vita di Sayka, due figure sono comparse nella mia camera. Erano grigie e assomigliavano a spiriti. Erano vittime di Sayka, persone che aveva ucciso. O farei meglio a dire che io ho ucciso.»
«Ne abbiamo già parlato» intervenne Patrick. «Chi eri e chi sei, sono due persone diverse.»   
«Forse. Ma per loro non fa alcuna differenza. Volevano aggredirmi, probabilmente uccidermi per pareggiare i conti.»
«Ne sei proprio sicura? Magari ti sei solo fatta suggestionare da quello che hai letto.»
Sara scosse la testa. «No. A un certo punto ho ricordato Come io, cioè Sayka ha ucciso uno di loro.» La voce le si ruppe in singhiozzi e iniziò a piangere. «È stato orribile. Sono davvero colpevole. E hanno detto che non sono i soli ad avercela con me. Ce ne sono altri, verranno per tormentarmi e per vendicarsi.» 
«Non preoccuparti. Troverò il modo di aiutarti.»
Sara capì che cercava di consolarla, ma non riusciva a credergli. Non c’era modo per risolvere quella situazione. Era maledetta e condannata. Più si ripeteva quelle parole, più sentiva i singhiozzi scuoterla.
Patrick la colse di sorpresa. Privatosi dei guanti di pelle, l’abbracciò, la strinse con dolcezza, massaggiandole la nuca con fare protettivo.
Sara si lasciò avvolgere dalle sue braccia e si aggrappò con le dita a quelle della mano di Patrick, come se fosse la sua unica ancora per non sprofondare in quel mare di disperazione.

Appena le dita di Sara sfiorarono la sua pelle, Patrick vide se stesso nell’ingresso di un edificio sconosciuto. Sembrava un grande grattacielo. Kaspar De Santi gli era di fronte e annuiva serio.
“Posso stare tranquillo?” si sentì chiedere all’altro uomo. “Mi chiamerai se ci fosse un cambiamento nella sua situazione?”
“Certo. Ti avviserò alla prima novità” gli rispose Kaspar.
Seguì con lo sguardo l’altro sé che usciva dall’edificio. Entrambi erano all’esterno e notò sulla porta a vetri alle sue spalle la scritta C.E.N.T.R.O. Tornò a guardarsi e dopo aver compiuto un paio di passi,  scoprì che l’latro sé aveva alzato la testa per fissare il cielo, da cui iniziarono a cadere candidi fiocchi di neve.
Patrick ritornò nel presente, nel suo corpo e lasciò la presa intorno a quello di Sara.
«Cercherò un modo per evitare che tu abbia ancora queste visite sgradite. Oppure troverò come insegnarti a respingerli» disse alzandosi in piedi e ricoprendo le mani con i guanti. Fece ricorso  a tutta la sua forza di volontà per apparire disinvolto. «Ora però è meglio che torni a casa e ti rilassi. Ti chiamo un taxi.»
Sara si asciugò le lacrime con il dorso delle mani. «Non ce ne è bisogno» ripose. «Posso teletrasportarmi.»
«Sei sicura? Non sverrai un’altra volta?»
«Non succederà» gli rispose con un sorriso. «Mi sento bene. Parlare con te mi fa stare meglio. Scusami ancora per il disturbo. E grazie.»
«Sei sempre la benvenuta» replicò, abbozzando un sorriso.
Lei si alzò in piedi e Patrick rimase a fissarla mentre ricorreva al suo potere e abbandonava la casa.  Si accasciò sul divano ora libero, tenendosi la testa tra le mani. Aveva toccato Sara per la seconda volta e di nuovo aveva avuto una visione inspiegabile.
«Prima quel ragazzo di nome Leonardo che conosce il Ritus e oggi questo »sbottò confuso.
Ripensò alle immagini che erano entrate a forza nella sua testa e anche se non trovava un nesso con ciò che aveva visto in precedenza, si rese conto che c’era qualcosa di familiare. Quasi due mesi prima, infatti, si era ritrovato sotto la neve, fuori da un edificio con il nome C.E.N.T.R.O. senza capire perché fosse stato lì. Ora sapeva di esserci andato per accompagnare qualcuno di cui aspettava notizie.
«Chiunque sia questa persona, deve essere importante» disse Patrick.
Aveva bisogno di risposte e sapeva a chi rivolgersi. Per quanto la sua fiducia in lui fosse diminuita, accettò l’idea di dover avere un incontro con Kaspar al più presto. Anche se sospettava che lo aspettasse un guaio più grande.

 

                                                      Continua…

Nessun commento: